sabato 2 giugno 2018

Presentazione del libro di poesie "Balla ancora con le stelle" di Marje Dolores Merenda Salone degli Specchi della Provincia Regionale di Messina 29 Maggio 2018




 

Fabio Rossi 
(Professore Ordinario di Linguistica italiana - Università di Messina)



Del titolo (che precede il programma televisivo e dunque non è certo ammiccamento di massa) Marje Dolores parlò a Uno mattina, nel 2005: si tratta della serata del 2002, data dell’incontro dell’autrice con il poeta Mario Luzi, in una notte stellata in Toscana.
Le altre pubblicazioni dell’autrice sono in prosa; si tratta di due raccolte di favole:
- L’Ammazzasette e il drago con le pantofole di velluto rosso ed altre favole, 2010
- Scontentino e il Maghetto e altre favole, 2015.
Le poesie che ho scelto per la mia analisi sono 9, tutte, peraltro, reperibili in internet, su Youtube, nella lettura e nell’interpretazione (quant’altre mai calda ed espressiva) del prof. Mario Gugliuzza da Castelbuono.
Che cosa accomuna queste poesie, tra loro e con le favole? Il vigoroso senso della natura e dell’importanza della sintonia tra uomo e natura. In questo caso, la vivida fede cattolica dell’autrice è ancora più evidente che nelle favole, ma è anch’essa, come credo di dimostrare nel commento delle poesie, un tutt’uno con l’amore per la natura. La natura non è altro che la manifestazione di Dio e il rapporto di sintonia tra uomo e natura mi pare omologo a quello tra gli uomini tra loro e tra gli uomini e Gesù.
Un altro tema portante di queste poesie è l’apparente assenza di dialogo. Quasi nessuna delle poesie, infatti, si rivolge a un Tu concreto, personificato, a meno che il Tu non siano Gesù o Dio e ad eccezione dell’unica poesia integralmente dialogica, più piece teatrale che poesia, vale a dire La mamma di Giuda. Come vedremo, è un dialogo anche una poesia centrale della raccolta, Il risveglio della sirenetta, anch’esso un dialogo tra madre e figlia. L’altra parziale eccezione è Presidente, hanno ammazzato mio figlio! Ebbene, secondo me la scarsità dei dialoghi è solo apparente (cioè, intendo dire che il dialogo c’è, ma non si vede, anche nelle poesie monologiche), perché in realtà è sempre soggiacente il dialogo dell’autrice con la natura. La natura è la vera protagonista di tutte queste poesie, insieme con l’io narrante. La natura si manifesta in vari elementi, nelle diverse poesie: il cielo, l’acqua, le foglie, il vento, i fiori, i colori...
L’altro elemento, il terzo, dopo Dio/Gesù e la natura, è costituito dai bambini: i bambini svolgono un ruolo essenziale nella produzione dell’autrice, non soltanto nelle favole, ma anche in queste poesie. Quasi sempre compare un bambino. E questo lega strettamente l’opera alla vita privata e professionale dell’autrice, che della cura dei bambini ha fatto una ragione di vita. Il quarto elemento è costituito dai reietti, dagli ultimi, dagli esclusi: Giuda, i poveri, i migranti, le prostitute, i “cattivi”.
Che cosa lega tutti e quattro questi argomenti? Evidentemente l’amore, tanto da farli sembrare tutti sottoelementi di un unico macroelemento, l’amore, che è il vero protagonista assoluto delle poesie di Merenda.
Ma la cosa interessante è questa: nessuna delle poesie parla espressamente d’amore, eccetto forse l’amore materno della Mamma di Giuda. Eppure, leggendole tutte, il lettore ha l’impressione che si tratti di un canzoniere d’amore: amore per la vita, per Gesù, per la natura.
A questo punto, per scendere dal generale della raccolta al particolare dei singoli componimenti, commenterò 9 poesie. Si tratta di un campione pari a circa un sesto dell’intera raccolta, che conta 51 poesie in totale.
Come tutte le raccolte di Marje Dolores Merenda, anche questa è bilingue, con testo inglese a fronte, a opera di Sophie Stockbridge con la supervisione e le premesse della professoressa Cinzia Donatelli Noble della Brigham Young University di Provo (Utah).
- La mamma di Giuda: p. 26. Mamma (allocutivo) e non madre. La poesia fin dal titolo vuole evocare amore, non punizione. Madre, anziché mamma, compare, nella poesia, sempre con finzione di allocutivo, pronunciato da Giuda, ma lì lo stile deve essere solenne, da dramma teatrale sacro, per questo madre è più appropriato, mentre mamma avrebbe abbassato il tono. Ma il mamma nel titolo ci fa capire che il punto di vista è dal basso, non dall’alto, è quello di Marje Dolores, poeta e mamma, che vuole dare tutto il peso a quella parola.
Questa poesia, come si diceva, contiene l’unico vero dialogo di tutta la raccolta, con un Tu che non sia la natura. Ma anche qui compare la natura: agnello, lupi, pecorella, albero (strumento della predestinazione) e terra soffice come un tappeto. Nulla può più dell’amore di una madre e di quello di Gesù, e dunque amore al quadrato, quello della mamma di Gesù, madre al pari di quella di Giuda. Neppure la predestinazione alla dannazione di Giuda può più dell’amore di una madre: «la parte del traditore è toccata a me», con il termine parte che sottolinea la teatralità della scena. Anche l’insistito uso del verbo devo sottolinea la forza della predestinazione, tanto più forte per far poi risaltare, per contrasto, la forza dell’amore delle due mamme (di Giuda e di Gesù) che andranno oltre la predestinazione.
In questa poesia compare un altro tema molto presente in tutta la produzione di Marje Dolores Merenda, cioè il tema della compassione. Anche i peggiori meritano compassione, i cosiddetti cattivi. E Giuda, prototipo di cattivo, è qui guardato non con gli occhi di chi lo giudica il traditore di Cristo, ma con gli occhi di una madre, di sua madre ma anche della madre di Gesù. Tutti i peggiori sono guardati con compassione dall’autrice: Caino, chi spara con i kalashnikov, il carnefice, lo sfruttatore, il mafioso. Il cattivo non è mai veramente dannato, c’è sempre uno spiraglio di salvezza per lui o per lei.
Il tono dialogico, quasi parlato a teatro, è ribadito anche graficamente, mediante l’allungamento della a di Giudaa, nel primo verso. Il fenomeno si ripete poi nell’allungamento vocalico della o di No-oo! detto da Satana. Con ricercato contrasto tra chiaro (a) e scuro (o), bene e male. I richiami a distanza, nella stessa poesia e tra diverse poesie, cioè l’intertestualità, rendono grandi i testi, perché vivi, dialoganti tra loro, tramati di reti di connessioni (textus, etimologicamente, è il tessuto, cioè l’intreccio di fili).
L’altra parola chiave della poesia è ultimi.
- Fiori di strada: p. 42. In questa poesia, l’elemento della natura si fonde con l’elemento degli ultimi fin dal titolo: fiori e di strada. E i due elementi si alternano e si intrecciano lungo tutta la poesia, dedicata al dramma della prostituzione, specialmente quella giovanile e migrante. Evidenti le contrapposizioni, acqua e aride, fresca e lordati. E alla fine torna la parola chiave mamma, già prima anticipata da figlie di Dio. La natura è dunque il conforto offerto dalla madre alle figlie martoriate e vilipese. E, come vedete, i nostri 4 elementi cooperano tutti alla costruzione del testo poetico: Dio, bambini, natura, ultimi.
- Nell’orto degli ulivi: p. 54. Ritorna lo scenario di Giuda, sebbene non nominato qui direttamente ma evocato dall’orto dei Getsemani. Ora a dominare la scena è il Gesù morente, dunque figlio e figura di ultimo, e tutti gli elementi della natura sono strumenti della sua morte e redenzione: orto, ulivi, frusta, terreno, aria, sudore, sangue, monte, polvere, aceto, spine. Un po’ come accade in tanta iconografia pittorica (per esempio in quella umbra), con gli strumenti della passione ben in vista già nel gioco di Gesù bambino, che, sincreticamente, è bambino, uomo, morto e risorto al contempo, in quanto tutto già previsto dal disegno divino. Anche qui dunque tornano tutti e quattro gli elementi. L’elemento del bambino, del figlio, è ribadito dalla presenza della madre, Maria, che assiste alla morte del figlio.
- Il risveglio della sirenetta: p. 74. Si tratta della mia poesia preferita, per la densità semantica, l’alta caratura emotiva e l’afflato sociale. La fede in Dio è qui chiaramente un tutt’uno con l’amore per la natura e per l’uomo. La poesia si apre con la parola Mamma, ripetuta. È dunque un altro dialogo madre/figlio, stavolta figlia bambina, la sirenetta. Bambini e natura, dunque, come nostri Leit Motive, compaiono fin dal titolo. Ecco dunque i pesci (strani, perché senza né pinne né coda: dunque animali, reietti, ultimi, altro Leit Motiv, come evidente nel presieguo della poesia). A proposito della sintonia tra l’uomo e la natura, l’elemento centrale per eccellenza di questo poesie, il primo dei Leit Motive, come  ho detto, c’è qui una spia fraseologica preziosa. Scusate, ma il mio mestiere di linguista mi induce a non considerare quasi mai come casuali i fatti di forma e a ricondurre anche lo stile sotto l’egida della grammatica, cioè delle risorse comunicative che la nostra lingua, come qualunque lingua umana, ci mette a disposizione. Qui non è, come prevedibile, la Sirenetta che si rotola nell’acqua, ma il tratto semantico (il sèma, come si chiama tecnicamente) dell’umanità si riverbera all’acqua: è l’acqua che «le si rotolava dolcemente sul dorso». Qui, oltre al dialogo esplicito tra la mamma e la sirenetta, c’è quello implicito, dell’uomo con la natura, cioè della bambina pesce con l’acqua, elemento vitale per antonomasia.
Anche l’uso ribadito del che polivalente (cioè a metà strada tra relativo e causale: «ché le piaceva scorrazzare», «ché molti ne custodiva») è spia di avvicinamento al parlato, cioè all’essenza della lingua, a una lingua senza fronzoli, diritta all’essenziale, all’acqua della vita.
Nella seconda parte della poesia, gli elementi della natura si fanno cruenti, perché sono un tutt’uno con i crimini dell’uomo: ecco dunque che dai «pugnetti stretti stretti» dei bambini migranti morti ammazzati si passa al vento, al sangue, alla sabbia del deserto. Ma poi subito ancora ad elementi vitali, sempre della natura, che contrastano con la morte: e allora il deserto africano è un «soffice tappeto per i primi passi incerti di bimbi», ecco che compaiono le «gazzelle» che giocano con quei bimbi. Insomma, dalla sintonia uomo natura, si passa alla distonia prodotta dal sangue, causato dall’uomo, e poi di nuovo alla sintonia tra bimbi e natura, che, quand’anche impervia (deserto), diventa madre che gioca con i suoi figli. In altre parole, è l’uomo occidentale  che trasforma la natura in matrigna (distonica con l’uomo), laddove la sua essenza intima è quella di essere sempre natura madre (in sintonia con l’uomo). Non vi sarà sfuggito che il riferimento alla terra soffice come un tappeto ritorna dalla Mamma di Giuda: è uno di quei preziosi riferimenti intertestuali di cui parlavo poc’anzi. E l’elenco degli elementi sintonici della natura continua con i tramonti, le oasi, le palme, le capanne, ecc. Lo stretti stretti, poco sopra evocato per i bambini, qui passa ora all’inumano stipamento dei migranti sui barconi della morte. E qui ancora, per colpa degli uomini avidi, ecco che la natura si fa cattiva, distonica, matrigna: col sangue e la «notte senza luna e senza stelle».
Ma la mamma non può rivelare l’orrore della morte alla figlia, ed ecco dunque che torna la sintonia, stavolta sognata o artefatta ad usum filiae, un po’ come nella Vita è bella. E dunque i bimbi non sono morti ma addormentati e i loro occhi sono chiusi «per trattenere i sogni». Ed ecco il profumo del pane e i giardini verdi. E l’ultimo sintagma della poesia è tutto proiettato verso il futuro: l’anima libera. Una poesia che si apre e chiude sul bene: mamma e libertà dell’anima, passando per i mali del mondo, in un continuo alternare tra sintonia e distonia con la natura, in cui, tuttavia, il male, la distonia, non è insito nella natura, sibbene nell’uomo, che riesce, a volte, a distorcere la stessa natura. Eppure la fede di Marje Dolores Merenda è tale da vedere, alla fine del male, il bene, il trionfo della sintonia, nel tradimento di Giuda tanto quanto nella morte dei migranti.
Questa poesia, come si vede, tocca un tema sociale fortissimo e potrebbe sembrare distante dagli altri componimenti di Merenda. In realtà, il Leit Motiv degli ultimi si coniuga spesso con temi sociali e politici nell’intera opera dell’autrice. Basti pensare a titoli come Presidente, hanno ammazzato mio figlio!, o Il pianto di Abele, o Il pane dei fratelli, o ancora I nuovi poveri, o soprattutto A Falcone e Borsellino e molti altri. Anzi direi che, a ben guardare, i temi cruciali della contemporaneità non sono mai veramente disgiunti dalle poesie di Marje Dolores.
Le epigrafi delle raccolte. La chiave di lettura che vede nella natura l’elemento centrale di queste poesie è stabilita esplicitamente dalla stessa autrice, oltreché nelle stelle del titolo (ballando con le stelle indica proprio un rapporto di assoluta sintonia, a mo’ di abbraccio armonico, tra uomo e natura), nelle tre citazioni in esergo alla nuova e alla vecchia raccolta: «Il cielo e le stelle, i fiumi ed il mare, le montagne, gli alberi  ed i fiori, la natura tutta hanno una voce ed un’anima e... narrano la storia dell’universo» (p. 9). E poi ancora, a p. 25, l’esergo di Martin Luther King. All’inizio della vecchia raccolta, l’esergo di San Bernardo di Chiaravalle, a p. 98. Tre epigrafi tutte dedicate alla natura come chiave di vita e di lettura per queste poesie.
E poi, dalla vecchia raccolta:
- I nuovi poveri: p. 118. Qui gli ultimi sono al centro, ma la natura si intreccia, con un gioco di analogie e metafore, col tema cardine: ecco dunque al quinto verso, che i nuovi poveri sono «come cespugli ai margini delle strade». Qui viene rivitalizzata una catacresi, vale a dire una metafora ormai morta, talmente è cristallizzata nella lingua: quella della marginalità, dell’essere non al centro ma messo da parte, appunto «ai margini delle strade» (i cespugli, un po’ come i fiori di strada di cui sopra). E ancora, nella quarta strofa, tornano, in un’altra analogia, gli stessi elementi della natura caratteristici delle epigrafi sopra commentate: rocce, acqua e vento. E torna, nel prosieguo della poesia, l’altro elemento centrale, quello dei bambini, dei figli, stavolta in un modo insolito e, direi, militante: la pediatra Marje Dolores, e soprattutto la credente Marje Dolores, sa come conti poco la genitorialità genetica, e conti molto più quella del cuore e dell’amore: «sono tutti figli i bimbi della strada». E ancora tornano altri elementi della natura, a connotare in analogie e metafore l’intima povertà dei nuovi ricchi: l’arcobaleno, il prato verde, e soprattutto un altro sintagma chiave di questa raccolta poetica: «il profumo delle viole», che darà il titolo a una poesia successiva. E poi ancora l’acqua, i pulcini, le spighe, le rane, la quercia, la luce, l’odore della terra lavorata, il raccolto. E infine anche qui, come per Il risveglio della sirenetta, la poesia è conclusa dalla parola anima.
- Il profumo delle viole: p. 130. È questa la poesia preferita dall’autrice, com’ebbe ella stessa a dichiarare a Uno mattina nel 2005. Qui la natura domina dal titolo alla fine. E, congiuntamente, nella natura sono inseriti i bambini e gli ultimi: gli ammalati, i vecchi, le prostitute (ragazze in vendita), i mendicanti, ma anche i filosofi e gli scettici, i governanti e i signori della guerra, che sono, per così dire, fatti ultimi non dagli altri ma da sé stessi. E torna la parola chiave tappeto: «morbido tappeto di nuvole bianche». Compare anche la parola che dà il titolo alla raccolta: stelle. Ma l’uso linguistico qui più rilevante è l’anfibologia, il doppio e contrastante uso dell’aggettivo sostantivato rosso: prima evocato a metafora negativa di sangue, in contrasto con «il pane caldo per tutti», e poi a metafora di vera essenza della vita, insieme col verde, nella conclusione della poesia: «il rosso dei papaveri nei campi verdi a primavera».
- Poesia: p. 156. La centralità della natura è dimostrata dal fatto che la natura diventa poesia: tornano tutti gli elementi già incontrati nelle altre poesie (la rugiada, le nuvole, l’arcobaleno). La parola conclusiva è morte, ma contrastata dalla vita.
- Foglie secche: p. 232. Anche in questo caso, un elemento della natura dà il titolo alla poesia. Oltre ai casi già commentati, ciò accade in molte altre poesie della raccolta: All’alba, L’allodola, L’Aquila, Tempesta, Rondini, Tramonto, La pioggia, Autunno, Due stelle nel cielo ecc. Qui il male e la sfiducia sembrano dominare la poesia, fin dall’assenza di vita nelle foglie secche del titolo. Eppure, con l’ottimismo vitale che è la vera essenza poetica di Marje Dolores Merenda, alla fine è la vita a trionfare, e quelle stesse foglie secche diventano, pur nella disperazione (disperatamente), veicolo vitale (vivo con loro). Linguisticamente, spicca il fatto che le foglie, un tutt’uno con le speranze grazie all’analogia iniziale, non vengono più nominate, ma solo richiamate da pronomi. In questo modo, noi non possiamo sapere se il loro conclusivo si riferisca alle foglie o alle speranze: evidentemente, ad entrambe.
- Se mi cerchi: p. 244. L’elemento linguistico che più mi attrae è proprio il titolo, ancora una volta anfibologico: sia ipotetica senza apodosi, sia sostantivo (semicerchi). Non so se il secondo senso fosse voluto dall’autrice, ma non importa: in quanto lettore, sono sempre autorizzato a cooperare alla costruzione di senso, soprattutto in un testo scarsamente vincolante come quello poetico (il lettore è sempre coautore del testo: lector in fabula, secondo Eco; e la poesia è sempre di chi la legge, più che di chi l’ha scritta, come sostiene Skarmeta/Troisi, nel Postino). I semicerchi sono l’io e il tu della poesia, che insieme completano l’unità sintonica, il cerchio, appunto. E così, scusate il gioco di parole, si chiude il cerchio sulla dialogicità di queste poesie, con la quale ero partito. L’Io e il Tu della poesia sono, sì ovviamente, l’autore e il lettore, ma sono soprattutto, a un livello di interlocuzione più profondo, l’uomo e la natura. E la natura è l’unica in grado di chiudere il cerchio. Infatti, l’apodosi, la reggente, ellittica nel titolo, si manifesta fin dal secondo verso della poesia e poi in tutti i versi fino all’ultimo: se mi cerchi... mi vedrai..., volerò..., sarò... ecc.
Molte altre, naturalmente, sono le poesie ricche di spunti e meritevoli d’analisi linguistica, in questa ricca raccolta. Ma credo che le nove da me commentate abbiano reso a sufficienza l’idea dei temi cardine della poetica di Marje Dolores Merenda e possano dunque fungere da falsa riga per l’interpretazione delle rimanenti quarantadue poesie.
   
 Marje Dolores Merenda
 Chiusura dei lavori:

Ringrazio sentitamente la Professoressa G. Prestipino, Dirigente scolastico dei Licei La Farina e Basile, il Prof. Fabio Rossi, Prof. Ordinario di Linguistica Italiana dell’Università di Messina,  per la  disponibilità, la squisita sensibilità e l’entusiasmo coinvolgente con cui hanno  presentato il mio libro “Balla ancora con le stelle”.   
Voglio ringraziare  ancora la carissima E.Colicchi, Prof Ordinario di Pedagogia dell’Università di Messina, la prof.ssa Giovanna Lo Giudice, Anna Maria Gammeri dirigente dell’Istituto Superiore Bisazza, Linda Iapichino, la Preside Prof. Quattrocchi, le insegnanti Lilli Ieni, Elia Giusto, Loredana Currò, e  tutti gli altri insegnanti dell’istituto comprensivo di Gravitelli, Passamonti- Paino, che da anni mi danno la grande opportunità di incontrare tanti  dei loro alunni. Mi piace farvi sapere che alla scuola elementare Passamonti, sulla strada tracciata dalla professoressa Prestipino,  esiste una bellissima scuola di lettura dove ogni giorno si trasmette ai bambini l’amore per la lettura con la semplicità e la passione che a volte, anche da sole, in maniera sorprendente, possono bastare a realizzare progetti straordinari.
Ringrazio l’architetto Giusy Tomaselli che ha illustrato la copertina con grande originalità, Sophie Stockbridge che ha curato la traduzione in inglese, la giornalista A.M.Crisafulli Sartori e tutti i giornalisti presenti, il direttore della Gazzetta del Sud, Dottor Notarstefano, il dottor Nino Calarco, l’avv. G. Santalco. Ringrazio ancora il prof. Mario Gugliuzza che cura la lettura dei miei testi su you tube e ci regala tante emozioni con la sua bellissima voce.
Ringrazio moltissimo tutti voi per essere intervenuti così numerosi. Sono davvero onorata della vostra partecipazione affettuosa ed entusiasta, della vostra stima ed amicizia che apportano il calore giusto e necessario per rendere  questa serata particolarmente piacevole e preziosa.
Grazie  anche a  mio marito e ai miei figli che hanno corretto le bozze di questo libro e alla mia famiglia che costituisce la mia simpaticissima tifoseria personale.
Bernard de Fontaine, l’abate francese di Clairvaux, scrisse: “troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che  nessun maestro ti dirà”. 
Ho provato ad osservare e ad ascoltare. La bellezza e la coralità della natura hanno un’anima che rimane viva e giovane nel corso dei secoli. Se sai ascoltare diventano voce, la voce magica narrante dell’universo.
Il canto degli uccelli, il fruscio delle fronde mosse dal vento, l’odore della terra dopo la pioggia, i colori accesi ed i profumi intensi della nostra isola, perfino il rumore silenzioso dei fiori che si piegano sugli steli e dei petali che si schiudono, il rumore dell’acqua che scorre, formano un singolare ed armonioso coro.
L’infinito intersecarsi di sensazioni ed emozioni che la nostra intuizione riesce a cogliere diventa parola scritta, o meglio, poesia.
“Balla ancora con le stelle” nasce dal desiderio di comunicare e condividere la gioia e la forza  di queste emozioni.
E’ una poesia semplice e modesta, libera, che cerca parole vere e comprensibili, immagini  limpide, versi freschi per un messaggio immediato e diretto affinché chiunque possa leggere senza fatica e trarne un po’ di serenità, la gioia di correre a piedi nudi sulle nuvole bianche fino a giungere alla sorgente della luce, fino a scoprire il profumo delle viole ed il rosso dei papaveri nei campi verdi a primavera. E’ un invito a volare  con la fantasia dentro le nuvole, sulle onde del mare e con il vento gioioso della vita. Ballare con le stelle sulle ali della speranza può aiutarci a superare le esperienze difficili e le molteplici ansie della vita.
Sono convinta che soprattutto oggi, nel nostro tempo caratterizzato dalla solitudine e dalla mancanza di dialogo, la poesia possa farsi interprete di una nuova forma di realismo e diventare strumento di comunicazione emotiva straordinariamente efficace, capace di svolgere anche una funzione sociale perché tutti abbiamo un grande bisogno di sperare e credere.
Si dice che Diogene girasse con una lanterna per cercare un amico, io credo che la poesia riesca a fare  molto di più e questo splendido pomeriggio  di amici certamente lo conferma.
 Grazie tante per avermi dedicato il vostro tempo.  

   
Gazzetta del Sud         Sabato 9 Giugno 2018          pag. 21
Arte, fede, poesia, musica e cultura a Messina

Presentata a Palazzo dei leoni la silloge della pediatra-poetessa
Il Canzoniere d'amore di Marje Dolores
Gli interventi della dirigente scolastica Pucci Prestipino e del Prof. Rossi

Anna Maria Crisafulli Sartori
Ascoltare le voci della natura, penetrare la sua anima, cogliere la bellezza delle piccole cose, comunicare ogni sensazione, ogni pensiero con un linguaggio diretto, che consenta alla poesia di svolgere la sua funzione sociale. Questo l’atteggiamento di Marje Dolores Merenda, pediatra, autrice di favole e di poesie, mossa dalla volontà di condividere col prossimo la propria visione positiva, gioiosa della vita, pur nella consapevolezza del male che è nel mondo, e di dare, con la sua arte, un contributo perché trionfi il bene. “Balla ancora con le stelle - Dance again with the stars” (in copertina il disegno dell’arch. Giusy Tomaselli), la sua più recente silloge poetica bilingue, che è stata presentata nel Salone degli specchi di Palazzo dei Leoni, si colloca in questo solco e si collega all’altra “Balla con le stelle” presentata, nell’agosto del 2005, a Uno Mattina Estate di RAI 1 e in una Università della Nuova Zelanda. Il talento artistico della Merenda è molto apprezzato dalla prof.ssa Cinzia Donatelli Noble della BrighamYoung University- Provo, Utah, USA, che firma, anche questa volta, la prefazione. Un breve, ma incisivo profilo della Merenda è stato tracciato dal Dirigente scolastico del “La Farina-Basile”, Giuseppa Prestipino, che ha ricordato, fra l’altro, l’esperienza coinvolgente dell’incontro della poetessa con gli alunni della scuola “Passamonti”, di cui è stata dirigente, che le ha dato modo di conoscere <il valore della persona, la sua sensibilità e la capacità di trasmettere ai piccoli messaggi di forte impatto emotivo>.
Una puntuale esegesi di nove delle cinquantuno liriche della silloge è stata quella del prof. Fabio Rossi, associato di linguistica italiana del nostro Ateneo, che l’ha definita <un canzoniere d’amore>. Ha poi sottolineato il forte legame tra i precedenti testi narrativi e queste liriche, assumendo quale chiave di lettura la definizione che Mario Luzi diede di queste poesie <simpatiche >, che etimologicamente sta a sottolineare <sintonia di affetti, emozioni, sentimenti>.
A recitare le liriche il Prof. Mario Gugliuzza.


Mentre sullo schermo scorrevano i versi, il pubblico ha ascoltato dalla voce recitante calda e suadente del prof. Mario Gugliuzza, liriche intense quale <La madre di Giuda>, testo <teatrale>, come ben sottolineato dal relatore, sul dramma di due madri, quella del traditore e quella del tradito, condannate entrambe a soffrire una pena profonda, ma animate dalla forza dell’amore. Perché anche lo scandaglio dell’animo di chi ha operato il male conduce la poetessa alla compassione, alla speranza del perdono. Ed ancora, liriche nate dall’amore per gli ultimi, per gli esclusi, come <Il risveglio della Sirenetta> che nelle acque che hanno inghiottito migranti, <più di cento>, chiede alla madre di quali strani pesci si tratti. Delicata l’immagine che si disegna: i bambini – come se dormissero, <tengono gli occhi chiusi> <per trattenere i sogni> e <un pugnetto di sabbia stringono forte nelle manine,/ per ricordare le proprie radici>. Intrisa di umanità anche <Fiori di strada> sul dramma della prostituzione. Ed ancora <I nuovi poveri>, dove, attraverso metafore e analogie- spiega il relatore, continuando nella sua analisi linguistica- sono messi a fuoco <temi cruciali del nostro tempo>. E, nonostante tutto,<ognuno di noi ha bisogno di sperare e di credere> ha detto, infine, Marje Dolores Merenda.

                                                                                            Anna Maria Crisafulli Sartori 





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