sabato 16 agosto 2014

Da ''Balla ancora con le stelle''

La vita di ogni giorno

Voglio vivere ogni giorno
con un piede attaccato
fortemente alla terra
e con l’altro sollevato
almeno di un palmo,

legata
tenacemente alla terra
per svolgere il mio compito
con impegno ed entusiasmo
fino all’ultimo respiro,

con l’altro piede sollevato da terra
e con la valigia in mano
sempre pronta a partire
perché, quando arriverà l’ora,
non devi aspettare, Signore.



Tempesta

Rombano i tuoni,
infuriano i lampi,
la terra è un frastuono,
un lupo lontano
ulula nella foresta.

Di colpo
s’oscura la terra,
ognuno si ferma
nell’ansia
di un attimo eterno.


Mamma*

Sorrise all’innocenza
soavemente Iddio
e, per divin prodigio,
accanto ad ogni bimbo,
perla stupenda apparve.

Stupite ancor le stelle
aprirono gli occhi,
il bimbo unì le labbra
e due volte le dischiuse:

come una preghiera
il nome della mamma
pel mondo
risuonò.

*N.B. E’ tratta da una raccolta di poesie scritte dal padre.
Marje Dolores ha voluto inserirla nel suo libro per rendergli omaggio come padre e come poeta.



Datemi …

Datemi l’alba
ed io sogno,

datemi un bimbo
ed io credo,

datemi i fiori
ed io gioisco,

datemi il tramonto
ed io spero,

datemi la notte
ed io prego.



Sogno d’estate

Un cielo sempre azzurro,
le acque trasparenti del mare,
tutto intorno una grande quiete.

D’un tratto i miei pensieri si fermano
perché, nel silenzio,
la voce del mondo racconta …

E’ una storia antica
di uomini in corsa
per sogni grandi ed ambiziosi,

di guerre combattute senza vincitori,
tutte vittime dell’odio
che allontana i fratelli.

Buttiamo le armi, fratelli,
e costruiamo case,
perché ognuno abbia il suo tetto,

palestre per correre insieme
tenendoci per mano
perché la vittoria è di tutti,

scuole per imparare
a stare uniti a tavola,
ad amarci senza guardare il colore della pelle,

perché l’anima
non ha colore né bandiere
e Dio non ha tracciato confini.



Il pane dei fratelli

Sarebbe bello
sedersi alla stessa mensa
e passarsi il pane.

Non importa se la mano è gialla o nera o rossa!
Tu prendi il pane
e lo offri all’altro fratello.

Sedersi e parlare da fratelli
per dividere  il dolore e la gioia,
la fatica e il riposo, la vita e la morte.

Avere un unico Dio
che sia per tutti la speranza e la certezza,
il conforto e la promessa.
Avere la grande madre terra
come patria
ed il cielo come tetto,

e per essi lottare insieme
senza fucili e cannoni, né bombe
con un’arma assai più potente:

è l’amore che ci unirà
e che può dare l’acqua
per la sete di tutti.



Lo scricciolo

Sentire dentro una voglia di piangere
e non sapere neanche perché!
E’ quell’angolo che è in ognuno di noi,
fatto di solitudine,
di luci improvvise nel buio
e di buio nella luce.

Una voce sottile,
chissà a chi appartiene,
a volte lontana, fioca,
a volte vicina, più forte:
come un piccolo scricciolo
nascosto in fondo all’animo.

Lo senti parlare
ma non comprendi
cosa dice.
Sai che c’è ma,
se lo cerchi,
non lo trovi.

E lui continua a vivere,
a parlare,
a ridere,
a piangere,
a scherzare,
a burlarsi di te.

Nessuno è riuscito mai
a vederlo,
a fermarlo,
a guardarlo in faccia.
I suoi occhi sono sfuggenti,
abbaglianti.

E la disperata ricerca
di te stesso continua,
nel buio e nella luce,
nella gioia e nel dolore,
nella vita e nella morte,
sempre.

Ma chi sono io,
che cerco, che voglio?
Uno scricciolo, un piccolo scricciolo
che mi racconti una favola,
la favola della vita e della felicità,
una favola per farmi dormire.



La Provvidenza

Quando do qualcosa a qualcuno
non aspetto nulla in cambio
perché sono certa che il Signore
mi ripagherà con generosità.

Quando servo i miei genitori,
so che Egli benedirà i miei figli.
Quando il mio lavoro è troppo faticoso
so che mi darà le forze necessarie.

Quando il cielo è sereno
conservo la speranza
per i giorni senza pace
della tempesta.

Quando sono disperata
confido nella Provvidenza
perché mi aprirà gli occhi
ed io Lo vedrò.

Quando soffro
mi sento nell’orto degli ulivi
e sto con Te,
mio Signore!



Il coraggio per vivere

Ogni giorno occorre coraggio
e talvolta sembra proprio finito!
E’ facile abbattersi
ma il ripiegamento giova
alla meditazione e alla preghiera.

Anche il giorno più splendente
ripiega nella notte,
ed il sole più superbo
sente il bisogno del tramonto.

Il mattino dopo tornano di nuovo
ad affacciarsi sul mondo,
rinnovati dal silenzio della notte.

La tigre medita prima di attaccare.
Si ferma, studia il suo corpo,
si ripiega su se stessa
e poi il balzo felino,
infallibile.

Lasciamo la paura nelle pieghe della notte
e, al levar del sole, ricominciamo la corsa
con lo slancio della tigre,
la gioia della gazzella
ed un sogno nel cuore.



Preghiera

Mio Dio,
che alto regni nel cielo,
quando Ti volgi sulla terra,
guarda anche in quest’angolo buio,
dove vivo io.

Mio Dio,
Tu che sei la luce del mondo,
illumina il mio cammino,
aiutami a trovare la strada
sepolta nel bosco.

Rinverdisci la mia speranza
che è appassita,
pur se è ancora primavera.

Mio Dio,
Ti prego,
non lasciarmi sola
ché ho tanta paura.



La pioggia

Canterella la pioggia una nenia,
piano piano,
dolce,
d’improvviso violenta,
di nuovo si calma … si cheta.

Racconta, tenera:
C’era una volta …
-       Chi? Un re? Una regina?-
Oh no, non esistono più
e nemmeno le fate, no!

C’era una volta un giovane
che conosceva tutte le scritture
ma …
che non sapeva leggere
dentro di sé!




Nostalgia

Odo un lieto gridar
di bambini,
un correre gioioso,
vocine allegre.

Questa musica festosa,
rapida sorpresa,
scuote i miei pensieri
e, di colpo,
sollevo la mia testa grave,

mentre la mia mente
corre lontano lontano,
per una strada incantata,
in un tempo di sogno,
per me, mai esistito.

I miei pensieri corrono,
si inseguono veloci,
galoppano frenetici,
mi spingono a correre,
ma dove?

Dove andate
o miei pensieri?
Quali tempi,
quali sogni,
nostalgici,
rincorrete?

Io non conobbi mai
i castelli incantati,
la fatina dei boschi,
la favola dei bimbi.
Non conobbi mai
quel tempo e quel mondo.

Invano ora correte,
invano ora cercate
la gioia
di una favola antica,
la strada inesistente
del castello fatato.



Voci nella notte

S’odono i grilli
in una notte d’estate.

La fontana vicina
canterella la sua storia,

le querce raccontano
con voce sommessa.

Il lumino di una casa,
lontano nella campagna,

le stelle nel cielo
mandano qualche bagliore,

un mormorio misterioso eterna
il silenzio di questa notte d’estate.



Rondini

Lassù, nella casa del nonno,
andiamo tutti gli anni, d’estate.
E’ una casa nascosta tra gli alberi,
circondata da un silenzio antico.
Ognuno, nel suo segreto,
conosce la storia
e si parla piano.

In Maggio arrivano uccelli di ogni specie,
rondini, merli.
Fanno il loro nido
e solo ad essi è permesso
interrompere il silenzio
con l’allegro cinguettio
e con un tenero frullio d’ali.

E’ appunto di una rondine
che vi voglio parlare.
Veniva tutti gli anni
a fare il suo nido lassù da noi.
Arrivava puntuale verso la metà di Maggio
e volava per prima a salutare la nonna,
battendo col becco alla sua finestra.

Il nido era sotto la terrazza,
anche quell’anno.
Tutti i giorni  le tenevo compagnia
mentre covava le sue uova.
Muovendo il capino
ella mi ringraziava
per le molliche di pane profumato.

Finalmente le uova si dischiusero
e cinque rondinini videro la luce!
Strillavano quei “cosini”
con il becco spalancato per la fame.
Grande era la festa
e la rondine, in cerca di cibo,
in un valzer allegro.

Una mattina senza gioia,
non trovai più i  miei amici.
Il nido distrutto
e la rondine nell’aria,
arruffata,
smarrita,
sembrava chiedere aiuto.

D’un tratto si fermò.
Spinta da un istinto arcano,
da un richiamo misterioso,
si diresse in volo,
verso una casa non molto distante.
La seguii di corsa
ma … troppo tardi!

Chiamai, non rispose nessuno.
Le donne e  gli uomini erano
a lavorare nei campi
ed i bambini in cerca di altri nidi.
Appesa ad una trave, una gabbietta.
Dentro i rondinini,
e la rondine, con il capino tra le sbarre.

Non avrebbe mai potuto insegnare loro a volare,
portarli alto nel cielo.
Essi non avrebbero mai conosciuto la libertà.
Aveva tentato di entrare nella gabbia
per accogliere i suoi rondinini,
ancora una volta,
sotto le sue ali.



Nonna

Quante rughe
sul tuo volto, o nonna!
Il tempo, il dolore
le han scavato ad una ad una!

Quante lacrime hai pianto
per i tuoi fiori appassiti
innanzi tempo,
per i tuoi figli andati

che il sole
era ancora alto!
Com’è triste il tuo sguardo,
Com’è triste il tuo sorriso …

Nonna,
voglio poggiare il mio capo
sul tuo seno,
fammi piangere assieme a te.



Quadretto di primavera

Petali di fiori,
ali di farfalle,
canto di uccelli,
profumi odorosi.

Il sole
che sorride,
il cielo
che sta a guardare.



Il vecchio e il mare

Guardava un vecchio
il mare.
Seduto sulla spiaggia,
guardava fisso
e meditava.

Ricordava
un ragazzo  giovane e forte,
che credeva ancora
nella vita e nel sogno:

il primo viaggio,
le prime tempeste,
le prime paure,
finché il mare
gli divenne  amico.

Ricordava anche una donna
e un bimbo.
Poi la guerra,
tanto sangue, tanti morti.

Al ritorno
tutto era finito,
la sua casa,
il suo focolare,
più nulla …

Cercando invano
tra i resti amari,
trovò uno specchio rotto,
e fu allora
che si accorse
delle rughe sul suo volto.

Poi, era fuggito,
correndo
chissà dove
finché non ritrovò
il suo vecchio amico,
il mare.

Gli parlava  sempre
della sua Marta,
del suo Luca,
di quel giovane,
di un vecchio che presto
doveva partire …
Libertà

Una gabbia vuota,
la porticina spalancata,
l’uccellino è volato via
verso la libertà.

Un mondo
di cieli infiniti,
di mare, di prati,
di boschi, di canti, di gioia.

Mi vien di pensare all’uomo:
non ha gabbia, eppur è prigioniero.
Di che? Di chi?
Prigioniero  di se stesso.




Sentimento

Una forza struggente
che avvolge e domina,
un desiderio
che non ha viso,
non ha nome,

ma non per questo
meno intenso,
e senti un bisogno,
un vuoto
dentro.

Vorresti,
non sai cosa, non lo sai più,
l’hai dimenticato.
E’ rimasto solo un desiderio
grande, forte, struggente.




Autunno

Foglie dorate volteggiano
sui miei pensieri.

Volano
nell’aria ancora tiepida
quali leggiadre danzatrici.

Vanno piano, poi, più in fretta,
si fermano
e cominciano di nuovo
un valzer incantato.

Ma, dove vanno?
Dove le spinge il vento!




Due stelle nel cielo

Due stelle nel cielo
più vivide,
vicine vicine,
più lontane dalle altre.

Simili a due occhi,
guardano sulla terra.
Risplendono,
come brillanti.

Forse ammiccano,
o ridono,
o forse è solo di lacrime
che luccicano tanto.

Son piccine,
son sole,
son tristi
ancor lassù.




Foglie secche

Quali foglie secche
giacciono al suolo
le mie speranze.

Il vento, senza pietà,
le sospinge in alto,
nell’aria, nell’acqua,
nella terra, nel fango.

Un vuoto arcano,
una forza strana
le travolge
e le trascina.

I loro pezzi
si disperdono
come sospiri,
come lacrime.

Ma io,
stranamente,
mi aggrappo ad esse.

So già
che non mi porteranno
a nulla.

So già
che finirò con loro
nel vuoto, nel vento,

eppur,
le cerco
ad una ad una.

Le rimetto assieme
e, disperatamente,
vivo con loro.




Ombre antiche

Ombre del passato,
d’un passato antico,
che mi ricordate
il sorriso di una bimba,
il pianto per una caduta,
il bacio di una madre.

Ombre,
care le mie ombre,
che mi sussurrate
tante immagini,
tanti ricordi lontani,
sapeste cos’è ora la mia vita!

Il tempo
è passato veloce,
quella bimba
è cresciuta presto,
presto,
così tanto presto...

Se guarda il sole,
il cielo,
non ride più.
Non vola più
con le rondini.
La musica è finita …

Non sa ridere,
né piange
ormai,
non sa più
nemmeno
sperare.




Tramonto

Che strana luce è quella del tramonto!
Gli alberi, la campagna, le case
assumono un aspetto nuovo,
più tenue, più pacato,
ma anche più triste.

Sembra il sorriso amaro
d’un vecchio
che se ne va,
l’addio errante
di una mano incerta.

Le voci degli uccelli
si fanno più silenziose, delicate.
Il loro volo quasi felpato,
mentre le ombre, leggere,
non fanno ancora paura.

Una luce dorata
copre tutto.
In questo silenzio,
solo,
m’acquieto.



Sabato

Sabato,
ogni sabato è sempre così!
Una tristezza più intensa,
più profonda,
chissà poi perché …

E’ un giorno come gli altri!
Lunedì, martedì, venerdì …
Che senso ha,
forse i giorni
sono diversi?

Lo stesso cielo,
lo stesso sole,
le stesse case.
Eppure,
c’è qualcosa di particolare,
di diverso.

Forse il senso
di ciò che è andato
e non torna più,
la delusione,
il dolore di una fine,
l’ansia
di un altro inizio.



Sentire

Quando la musica si fa più soffusa, più dolce,
ed il bisogno dell’animo
più tenue, più delicato,
allora, il pensiero va
al di là della stanza,
al di là di questi muri.

Pensi all’infinito, all’immenso,
non sai di preciso a che,
 e scopri di amare
come l’aria ama il sole,
la rondine il cielo,
il fiore la luce.




La regina dei pupi

Non c’è pace per me
in questo giorno,
non c’è sole,
né cielo,
pur in questo azzurro eterno.

Non c’è vita
ma neanche morte
per un pupazzo stanco.

“Su, presto, sbrigati:
la commedia è cominciata,
devi recitar la tua parte”.

“Ma … io … non so,
non posso,
non voglio …
… e chi sei
tu che parli
in questo silenzio immenso,
tu, che mi comandi?”

“Povero piccolo ingenuo!
Tu devi solo recitare
ed io,
io ti comando:
io sono la regina dei pupi:
io sono la vita”.



Dolce malinconia

Dolce malinconia
di cose passate, perdute,
o forse sognate e mai possedute.

Caro suono di pianoforte,
cristallino,
di tremula stanchezza.
Luci soffuse
che non abbagliano
e posso vedere le cose ad una ad una,

udire le voci,
tante voci, la mia voce.
E’ stregata questa notte!

Mi vengono incontro le fatine
delle mie favole di bambina …
da tanto non venivano più a trovarmi.

Io le ho chiamate,
perché cerco
una bambina.



Natale: dono e magia

E’ l’alba di un giorno nuovo!
L’aria sa di neve,
come si conviene a Dicembre,
ma il cielo è terso,
come è spesso il cielo
che copre la nostra bella terra.

Il sole
non si è ancora destato,
ma si intravede
il chiarore
assai luminoso
che lo precede.

Il mare dello stretto
è calmo e trasparente,
magico luccichio di stelline,
le più allegre e birichine che,
durante la notte senza sonno,
per la gioia di rincorrersi,

sono scivolate
giù dalle loro culle.
Ormai sopite e paghe,
aspettano
di risalire su nel cielo
a cavallo dei raggi del sole,

ultimo gioco
prima di tornare
dalle loro madri
che han trepidato,
insonni,
tutta la notte.

Suonano a distesa
le campane della prima messa
e nel silenzio,
che giova
alla voce del mondo,
senti che il suono è diverso.

E’ una gioia nuova e antica:
è Natale, è Natale!
E’ il coro del mondo che esulta
perché è nato un bimbo divino
a portare la gioia dimenticata,
a destare la speranza sopita,

a dire: “venite fedeli,
venite e credete.
Finché c’è un Natale,
finché Dio
ritorna bambino,
Egli ha ancora pazienza”.

O Bimbo divino,
dolci e calde le tue manine
sotto il fiato
del bue e dell’asinello,
dolci e mansueti i Tuoi occhi
sicuro tra Giuseppe e Maria!

Tu, che pur Dio,
hai voluto
un grembo di donna
per nascere,
dona a tutti
una mamma e un papà.

Dona a tutti
il tepore di un focolare,
lascia un angelo
per chi è solo nel buio.
Donaci di apprezzare 
il profumo del pane.

Donaci
di tornare alla natura
perché
possiamo riscoprire
l’armonia del mondo

e la gioia dei semplici.

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