Omaggio a Maria Costa... a duci puisia
La scrittura popolare nella scuola come messaggio
veicolato dalla favola e il Colapesce di Maria Costa.
Sabato 17 Dicembre 2016, Salone delle Bandiere del
Palazzo Comunale di Messina
Già nell’Ottocento la scrittura popolare è stata
oggetto di studi linguistici.
Nel 1970 Tullio De Mauro la definì come il "modo
di esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e senza
addestramento, maneggia la lingua nazionale, l’Italiano."
Successivamente si è parlato di Italiano
imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto (Cortellazzo
1972), di «Italiano dei semicolti» o di «Italiano delle classi popolari (Bruni
1984; D’Achille 1994), volendo sottolineare la limitata competenza scrittoria
di coloro che si esprimono in Italiano popolare, proprio per il loro basso
grado di istruzione.
L’espressione si è stabilizzata nella linguistica
italiana per indicare una precisa varietà di lingua marcata in basso, in
relazione all’estrazione e all’appartenenza a strati sociali diversi dei
parlanti. E’ documentata prevalentemente da testi scritti (lettere,
diari, autobiografie).
La scrittura popolare costituisce un patrimonio
culturale appartenente alla tradizione orale di tutti i popoli. Arriva a noi
attraverso la memoria di chi ha conservato i racconti delle generazioni
precedenti. Il suo messaggio proviene in gran parte da un mondo di immagini e
di sapienza presente già nei miti antichi. Svela il rapporto dell'uomo con le
sue origini, la natura, la sua storia, i costumi e le credenze, riscoprendo
norme e valori universali di grande attualità.
I graffiti sono il primo esempio di scrittura
popolare, scolpita da chi sentiva il bisogno e il dovere di raccontarsi a noi,
interpretando inconsciamente la coralità della storia e del mondo.
La scrittura popolare lega passato e presente, serve
alla comprensione del passato e rappresenta uno straordinario strumento
narrativo di grande valenza sociale e pedagogica che unisce le generazioni. Per
questi motivi è diventata sempre più interessante materia di studio per i linguisti
fino ad acquisire la dignità di materia scolastica.
Dalla tradizione orale e dal piacere di raccontare
proprio dell'uomo provengono anche le favole, le fiabe, le leggende, i miti.
La favola è un elemento ricorrente nella cultura di
ogni paese, e spesso contenuti e messaggi simili sono riportati in favole di
paesi diversi.
E’ un genere letterario di tipo fantastico che,
attraverso una breve narrazione, si propone un intento moralistico-didascalico
sulla base del valore universale della saggezza popolare.
Nasce nelle culture orientali, in India, in
Mesopotamia e in Egitto. Già sulle tavolette babilonesi e sui papiri egiziani
di più di duemila anni prima di Cristo si leggono raccolte di favole incentrate
sulla fortuna, sulle virtù o i vizi umani.
La favola trova fertile terreno per svilupparsi nella
cultura classica con Esòpo, e con Fedro
assume importanza come genere letterario.
Nel Medioevo si arricchisce di una forte componente
magica e fantastica proveniente dal mondo germanico. L’interesse per la favola
continua durante il Rinascimento. Nel '600 Jean de La Fontaine ne rinnova
l'arguzia e la leggerezza. Durante il Settecento e l'Ottocento troviamo, in
Italia, una nutrita schiera di favolisti come Tommaso Crudeli, Giambattista
Casti, Lorenzo Pienotti.
Nell’ultimo secolo Trilussa (1871-1950) e Gadda
(1893-1973) hanno rinverdito la tradizione allegorica di animali parlanti.
Trilussa ha ripreso in dialetto romanesco la
tradizione della favola vera e propria mentre, più di recente, Gianni Rodari
nelle Favole al telefono (1961) ha rinnovato la funzione educativa della
favola con i suoi consigli e ammaestramenti finali. Nell'Enciclopedia della
favola ha raccolto favole di tutto il mondo, dalle russe alle africane,
Quest’ultime si sono rivelate straordinariamente originali per il loro
contenuto. In esse i protagonisti non sono solo animali, ma anche pietre o
alberi ai quali viene attribuita un'anima.
Attualmente, in Perù e in altri paesi dell’ America
Latina, fra gli scrittori di favole è in corso un progetto volto a
narrare la storia e la cultura del paese attraverso le favole.
Esse raccontano i vizi e le virtù dell'uomo. I
protagonisti sono soprattutto animali che parlano e agiscono come uomini e ne
impersonano pregi e difetti. Poiché essi costituivano una presenza costante e
fondamentale per le antiche comunità non ancora urbanizzate e profondamente
immerse nell'ambiente naturale, risultava accettabile il comportamento
antropomorfo da parte degli animali.
Ciò ha reso le favole maggiormente memorizzabili e
singolari rispetto ai classici generi narrativi.
Le determinazioni di spazio e tempo non sono definite.
Sono in genere ambientate in uno scenario naturale, boschi, presso un ruscello,
ai piedi di un albero, e vengono narrate al passato remoto.
Tale vaghezza di riferimenti serve all'intento morale
che anima le favole, le quali assumono una valenza universale e duratura.
In principio nascono come racconti per adulti più che
per bambini. Soltanto con la scomparsa della religione primitiva, decadono a
storie riservate ai bambini.
Raccontare favole ai bambini permette di passare più
tempo con loro ed è utilissimo per svilupparne la fantasia e la creatività. Li
diverte e li aiuta nella formazione del pensiero logico, la
costruzione della struttura mentale e l’espressione complessa del pensiero.
Trasmette valori fondamentali conservando lo stupore della vita e l’ingenua
saggezza di cui solo i bambini sono capaci. Marje Dolores Merenda, 2016.
Tutti abbiamo bisogno della magia e della
sapienza delle favole, perché, come scrive Hayao Miyazaki, “Quando si cerca il
paradiso è necessario tornare con la memoria alla propria infanzia”.
La scrittura popolare e la favola hanno trovato una
fusione armoniosa nella poesia Colapisci di Maria Costa, “ A cantura d’’u Strittu”,
come l’ha definita Antonio Cattino.
L’ode è un meraviglioso esempio di messaggio trasmesso
in una favola affascinante, con la forza straordinariamente espressiva della
scrittura popolare.
Maria Costa, messinese, nata e vissuta nel rione
delle Case Basse, in perfetta empatia con l’ambiente che la
circonda, alla stessa stregua di Trilussa, riprende la tradizione della favola
con versi dialettali semplici e diretti. Il suo talento spontaneo rielabora il
mito di Colapesce e, utilizzando con vera maestria il dialetto della sua gente,
produce versi di effetto sorprendente per le immagini luminose e i
contenuti forti e appassionati.
Inizia con la figura della madre che lancia il suo
richiamo al figlio con grande forza:
So matri lu chiamava: Colapisci!
sempri a mari, a mari, scura e brisci,
ciata ‘u sciroccu, zottiati sferra,
o Piscicola miu trasi ntera!
Descrive con raffinata eleganza l’uomo pesce nel suo ambiente naturale, sottomesso all’ineluttabilità del destino:
Iddu sciddicava comu anghidda
siguennu ‘u sò distinu, la sò stidda.
Sentiamo l’orgoglio della madre per un figlio così speciale: bannera e incantu da’ rivera, per la sua naturale bellezza, murina chi so’ canni lisci, la tenerezza quando si rivolge a Colapesce come “figghiolu ubbidienti, nuncenti, figghiu miu,” pienamente consapevole che il figlio si sacrifica con rassegnazione per un dovere più grande della sua stessa vita.
Di grande effetto la compassione per le “mani russi lazzariati” del giovane figlio che vorrebbe proteggere, accarezzare, trattenere con le sue mani per trasmettergli tutto il suo amore senza parlare, così come sono solite fare le mamme quando non possono cambiare il destino dei propri figli.
E Colapisci, nuncenti, figghiu miu,
‘a facci sa fici ianca dù spirìu
dicennu: Maistà gran dignitari,
mi raccumannu sulu ‘o Diu dù mari.
Infine Colapesce consegna la sua anima al Dio del mare e la madre, impotente ma non rassegnata, lo aspetta per l’eternità.
Sò matri, cà mani a janga e ‘ncori ‘na lama,
Suona come uno struggente “ Stabat Mater”.
Maria Costa non poteva creare immagine descrittiva più efficace e tragica della madre immobile, impietrita dal dolore, che pur riesce ancora a trovare voce e parole per il suo diletto figlio.
La sua voce non è più forte come all’inizio, ma non smette di chiamare, perché una madre non si arrende mai!
mischinedda ancora ‘u chiama,
Conclude la poetessa popolare, sintetizzando con un’incredibile e potente capacità espressiva, la dolcezza inenarrabile della compassione materna.
Il mito di Colapesce è un inno speciale e avvincente
che Maria Costa dedica alla sua città e allo stretto di Messina, che ci dà
occhi per vedere e orecchie per ascoltare, e apre la nostra mente a cogliere la
moltitudine dei messaggi seducenti che arrivano quotidianamente dalla nostra
terra, l’incanto dello stretto e lo stupore della natura delle due sponde
contrapposte Scilla e Cariddi.
I versi popolari scorrono come immagini suggestive e
percepiamo chiaramente la potenza del mare attraversato dal magma incandescente
del nostro vulcano, le colonne che esprimono la fragilità della nostra isola,
il fascino del mito, della storia antica ma sempre attuale della Sicilia, dei
nostri uomini, della loro profonda devozione al re e alla terra fino al
sacrificio più grande.
Maria Costa scopre la magia, la favola, la forza e la
pietas della nostra terra.
Sa comunicarlo a noi con lo strumento semplice della
favola, in umiltà, ma anche con l’orgoglio, l’entusiasmo, la cultura,
l’eleganza, la dignità e la forza naturale del linguaggio popolare.
Esso è prorompente come la voce del mare, come il
fuoco del vulcano, come lo scirocco che sferra “zottiati”, come la volontà e
l’ubbidienza grande fino all’eroismo di Colapesce, come il dolore della madre
di un giovane pescatore, figlio e anima del suo popolo.
Se proviamo a chiudere gli occhi e siamo capaci di
trasportarci con la fantasia alla case basse di Paradiso, le emozioni suscitate
dalla favola prenderanno vita, e sono certa che poco a poco, nel silenzio,
riusciremo a udire la voce forte e sicura della poetessa intercalarsi a quella
del mare, capace di svegliare il bambino che è in noi e con lui il poeta che è
in ognuno di noi. Allora tutti sentiremo l’orgoglio dell’appartenenza a questa
donna e poetessa così speciale, interprete straordinaria della scrittura e
della cultura popolare, iscritta a buon diritto nel 2006 nel registro dei
tesori umani viventi dell’Unesco e nel registro dei beni immateriali della
Regione Siciliana.
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