giovedì 22 dicembre 2016

Omaggio alla poetessa messinese Maria Costa


Omaggio a Maria Costa... a duci puisia

La scrittura popolare nella scuola come messaggio veicolato dalla favola e il Colapesce di Maria Costa.

Sabato 17 Dicembre 2016, Salone delle Bandiere del Palazzo Comunale di Messina

Già nell’Ottocento la scrittura popolare è stata oggetto di studi linguistici.
Nel 1970 Tullio De Mauro la definì come il "modo di esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e senza addestramento, maneggia la lingua nazionale, l’Italiano."
Successivamente si è parlato di Italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto (Cortellazzo 1972), di «Italiano dei semicolti» o di «Italiano delle classi popolari (Bruni 1984; D’Achille 1994), volendo sottolineare la limitata competenza scrittoria di coloro che si esprimono in Italiano popolare, proprio per il loro basso grado di istruzione. 
L’espressione si è stabilizzata nella linguistica italiana per indicare una precisa varietà di lingua marcata in basso, in relazione all’estrazione e all’appartenenza a strati sociali diversi dei parlanti.  E’ documentata prevalentemente da testi scritti (lettere, diari, autobiografie).  
La scrittura popolare costituisce un patrimonio culturale appartenente alla tradizione orale di tutti i popoli. Arriva a noi attraverso la memoria di chi ha conservato i racconti delle generazioni precedenti. Il suo messaggio proviene in gran parte da un mondo di immagini e di sapienza presente già nei miti antichi. Svela il rapporto dell'uomo con le sue origini, la natura, la sua storia, i costumi e le credenze, riscoprendo norme e valori universali di grande attualità. 
I graffiti sono il primo esempio di scrittura popolare, scolpita da chi sentiva il bisogno e il dovere di raccontarsi a noi, interpretando inconsciamente la coralità della storia e del mondo. 
La scrittura popolare lega passato e presente, serve alla comprensione del passato e rappresenta uno straordinario strumento narrativo di grande valenza sociale e pedagogica che unisce le generazioni. Per questi motivi è diventata sempre più interessante materia di studio per i linguisti fino ad acquisire la dignità di materia scolastica.
Dalla tradizione orale e dal piacere di raccontare proprio dell'uomo provengono anche le favole, le fiabe, le leggende, i miti.
La favola è un elemento ricorrente nella cultura di ogni paese, e spesso contenuti e messaggi simili sono riportati in favole di paesi diversi.
E’ un genere letterario di tipo fantastico che, attraverso una breve narrazione, si propone un intento moralistico-didascalico sulla base del valore universale della saggezza popolare.
Nasce nelle culture orientali, in India, in Mesopotamia e in Egitto. Già sulle tavolette babilonesi e sui papiri egiziani di più di duemila anni prima di Cristo si leggono raccolte di favole incentrate sulla fortuna, sulle virtù o i vizi umani.
La favola trova fertile terreno per svilupparsi nella cultura classica con Esòpo, e con Fedro assume importanza come genere letterario.
Nel Medioevo si arricchisce di una forte componente magica e fantastica proveniente dal mondo germanico. L’interesse per la favola continua durante il Rinascimento. Nel '600 Jean de La Fontaine ne rinnova l'arguzia e la leggerezza. Durante il Settecento e l'Ottocento troviamo, in Italia, una nutrita schiera di favolisti come Tommaso Crudeli, Giambattista Casti, Lorenzo Pienotti.
Nell’ultimo secolo Trilussa (1871-1950) e Gadda (1893-1973) hanno rinverdito la tradizione allegorica di animali parlanti.
Trilussa ha ripreso in dialetto romanesco la tradizione della favola vera e propria mentre, più di recente, Gianni Rodari nelle Favole al telefono (1961) ha rinnovato la funzione educativa della favola con i suoi consigli e ammaestramenti finali. Nell'Enciclopedia della favola ha raccolto favole di tutto il mondo, dalle russe alle africane, Quest’ultime si sono rivelate straordinariamente originali per il loro contenuto. In esse i protagonisti non sono solo animali, ma anche pietre o alberi ai quali viene attribuita un'anima.
Attualmente, in Perù e in altri paesi dell’ America Latina, fra gli scrittori di favole  è in corso un progetto volto a narrare la storia e la cultura del paese attraverso le favole.
Esse raccontano i vizi e le virtù dell'uomo. I protagonisti sono soprattutto animali che parlano e agiscono come uomini e ne impersonano pregi e difetti. Poiché essi costituivano una presenza costante e fondamentale per le antiche comunità non ancora urbanizzate e profondamente immerse nell'ambiente naturale, risultava accettabile il comportamento antropomorfo da parte degli animali.
Ciò ha reso le favole maggiormente memorizzabili e singolari rispetto ai classici generi narrativi.
Le determinazioni di spazio e tempo non sono definite. Sono in genere ambientate in uno scenario naturale, boschi, presso un ruscello, ai piedi di un albero, e vengono narrate al passato remoto.
Tale vaghezza di riferimenti serve all'intento morale che anima le favole, le quali assumono una valenza universale e duratura.
In principio nascono come racconti per adulti più che per bambini. Soltanto con la scomparsa della religione primitiva, decadono a storie riservate ai bambini.
Raccontare favole ai bambini permette di passare più tempo con loro ed è utilissimo per svilupparne la fantasia e la creatività. Li diverte e li  aiuta  nella formazione del pensiero logico, la costruzione della struttura mentale e l’espressione complessa del pensiero. Trasmette valori fondamentali conservando lo stupore della vita e l’ingenua saggezza di cui solo i bambini sono capaci. Marje Dolores Merenda, 2016. 
Tutti abbiamo bisogno della  magia e della sapienza delle favole, perché, come scrive Hayao Miyazaki, “Quando si cerca il paradiso è necessario tornare con la memoria alla propria infanzia”. 
La scrittura popolare e la favola hanno trovato una fusione armoniosa nella poesia Colapisci di Maria Costa, “ A cantura d’’u Strittu”, come l’ha definita Antonio Cattino. 
L’ode è un meraviglioso esempio di messaggio trasmesso in una favola affascinante, con la forza straordinariamente espressiva della scrittura popolare.
Maria Costa, messinese, nata e  vissuta nel rione delle Case Basse,  in perfetta  empatia con l’ambiente che la circonda, alla stessa stregua di Trilussa, riprende la tradizione della favola con versi dialettali semplici e diretti. Il suo talento spontaneo rielabora il mito di Colapesce e, utilizzando con vera maestria il dialetto della sua gente, produce versi di  effetto sorprendente per le immagini luminose e i contenuti forti e appassionati.
Inizia con la figura della madre che lancia il suo richiamo al figlio con grande forza:

So matri lu chiamava: Colapisci! 
sempri a mari, a mari, scura e brisci,
ciata ‘u sciroccu, zottiati sferra, 

o Piscicola miu trasi ntera!

Descrive con raffinata eleganza l’uomo pesce nel suo ambiente naturale, sottomesso all’ineluttabilità del destino:

Iddu sciddicava comu anghidda
siguennu ‘u sò distinu, la sò stidda.


Sentiamo l’orgoglio della madre per un figlio così speciale: bannera e incantu da’ rivera, per la  sua naturale bellezza, murina chi so’ canni lisci,  la tenerezza quando si rivolge a Colapesce come “figghiolu ubbidienti, nuncenti, figghiu miu,” pienamente consapevole che il figlio si sacrifica con rassegnazione per un dovere più grande della sua stessa vita. 

Di grande effetto la compassione per le “mani russi lazzariati” del giovane figlio che vorrebbe proteggere, accarezzare, trattenere con le sue mani per trasmettergli tutto il suo amore senza parlare, così come sono solite fare le mamme quando non possono cambiare il destino dei propri figli.

E Colapisci, nuncenti, figghiu miu, 
‘a facci sa fici ianca dù spirìu
dicennu: Maistà gran dignitari,  

mi raccumannu sulu ‘o Diu dù mari.

Infine Colapesce consegna la sua anima al Dio del mare e la madre, impotente ma non rassegnata, lo aspetta per l’eternità.


Sò matri, cà mani a janga e ‘ncori ‘na lama,  

Suona come uno struggente “ Stabat Mater”. 
Maria Costa non poteva creare immagine descrittiva più efficace e tragica della madre immobile, impietrita  dal dolore, che pur riesce ancora a trovare voce e parole per il suo diletto figlio.
La sua voce non è più forte come all’inizio, ma non smette di chiamare, perché una madre non si arrende mai!
 

mischinedda ancora ‘u chiama

Conclude la poetessa popolare, sintetizzando con un’incredibile e potente capacità espressiva,  la dolcezza inenarrabile della compassione materna.

Il mito di Colapesce è un inno speciale e avvincente che Maria Costa dedica alla sua città e allo stretto di Messina, che ci dà occhi per vedere e orecchie per ascoltare, e apre la nostra mente a cogliere la moltitudine dei messaggi seducenti che arrivano quotidianamente dalla nostra terra, l’incanto dello stretto e lo stupore della natura delle due sponde contrapposte Scilla e Cariddi.
I versi popolari scorrono come immagini suggestive e percepiamo chiaramente la potenza del mare attraversato dal magma incandescente del nostro vulcano, le colonne che esprimono la fragilità della nostra isola, il fascino del mito, della storia antica ma sempre attuale della Sicilia, dei nostri uomini, della loro profonda devozione al re e alla terra fino al sacrificio più grande.
Maria Costa scopre la magia, la favola, la forza e la pietas della nostra terra. 
Sa comunicarlo a noi con lo strumento semplice della favola, in umiltà, ma anche con l’orgoglio, l’entusiasmo, la cultura, l’eleganza, la dignità e la forza naturale del linguaggio popolare.
Esso è prorompente come la voce del mare, come il fuoco del vulcano, come lo scirocco che sferra “zottiati”, come la volontà e l’ubbidienza grande fino all’eroismo di Colapesce, come il dolore della madre di un giovane pescatore, figlio e anima del suo popolo.
Se proviamo a chiudere gli occhi e siamo capaci di trasportarci con la fantasia alla case basse di Paradiso, le emozioni suscitate dalla favola prenderanno vita, e sono certa che poco a poco, nel silenzio, riusciremo a udire la voce forte e sicura della poetessa intercalarsi a quella del mare, capace di svegliare il bambino che è in noi e con lui il poeta che è in ognuno di noi. Allora tutti sentiremo l’orgoglio dell’appartenenza a questa donna e poetessa così speciale, interprete straordinaria della scrittura e della cultura popolare, iscritta a buon diritto nel 2006 nel registro dei tesori umani viventi dell’Unesco e nel registro dei beni immateriali della Regione Siciliana.




21 dicembre 2016 alle 15:34
Claudio Stazzone, Preside, Presidente dell’Accademia Culturale Zanclea di Messina, ha detto:
“Conoscevamo l’arte di Marje Dolores Merenda, ma per l’occasione non solo l’ha perfettamente innestata sulla tematica dell’evento, in più ha saputo toccare le ‘corde’ del cuore, certo con i versi di Maria Costa, ma calandoli sapientemente nella emozione del ricordo e sublimando la figura mitica di Colapesce nella figura dei nostri bravi giovani (figli di mamma) d’oggi”.

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